La morte dell'io attraversa la cultura moderna. Eppure il ruolo di psicopompo che Bassani sceglie per sé quando interrompe la scrittura narrativa per dare unità al "Romanzo di Ferrara" e affidare alla poesia versi costruiti in forma di epitaffio, obbedisce non solo a ragioni stilistiche ma anche profondamente etiche. Come se si fosse esplicitata la "necessità" testimoniale che dà senso, tramite il "Prologo", al "Giardino dei Finzi-Contini" e a quanto seguirà, e la coerente geometria costruttiva di un'intera opera (innervata fin dall'inizio da raffinate letture europee, da ricordi figurativi e longhiani che Anna Dolfi evidenzia con sapiente acribia) rivelasse appieno l'oltranza delle forma a clessidra, di strutture coniche che lasciano intravedere lontane scaglie di luce, spingendo il reale sul periclitante discrimine dell'ombra. Là dove l'esistente (oggetti, personaggi/persone) si offre come un'immagine dipinta viva solo grazie alla rifrazione e all'indiretta proiezione dello sguardo. Questo libro, indagando le strategie della memoria bassaniana, i suoi giochi di rivelazione/occultamento, mentre si cala nei percorsi compositivi dei testi, nelle loro modalità allocutive (il privilegio, in poesia, della forma dialogica ed epistolare), interroga con forza i luoghi della distanza, l'introiezione del lutto, il rapporto tra storia e verità, tra codice di realtà e effetto di reale, le convergenze tra biografia e cultura (nei nomi di Caravaggio, Cézanne, De Staël, Morandi, Bacon; di Dante, Manzoni, Tommaseo, Hawthorne, James, della Dickinson, di Baudelaire, Mallarmé, Rimbaud), offrendo un'interpretazione nuova e suggestiva del bassaniano scrivere "di là dal cuore".