In "Donare la morte" Derrida, nel contesto di una società che fa di tutto per obliare la morte, la ripensa come accompagnamento dell'io. È il rapporto tra il segreto e la responsabilità a muovere il lavoro del filosofo francese, che di questa coppia di termini rintraccia le strutture costitutive fino agli estremi limiti. Il segreto non è semplicemente il nascosto, l'inaccessibile, ma il rapporto fra l'io e la sua origine, e la responsabilità è il nome proprio dell'inappropriabile costituzione dell'io. È il movimento generativo dell'io che viene prima del suo esistere e del suo sapersi, dove la morte viene pensata come riconoscimento di un dono: la morte è il luogo senza luogo della verità dell'io. Scrive Derrida: «Quello che è donato - e si tratterà anche di una certa morte - non è un qualcosa, bensì la bontà stessa, la bontà donatrice, il donare o la donazione del dono».