In questi "Diari del transito" Guida non può fare altro che scrivere. Non sa, oggi, quello che scriverà domani. La sua forza intransigente è la rinuncia a parole già lette e già morte: è la dolorosa volontà di resuscitarle, straziate e nuove, affilate dai soprassalti di un discorso ininterrotto. «Io sono uno che scrive e non ho mai capito cos'è la poesia. Per cui non so se ne ho composta o se ne compongo. Non lo saprò mai». Solo un autentico poeta non sa mai quello che fa. Questi "Diari del transito", dal monologo al microracconto, dalla prosa lirica all' appunto teorico, sono pagine di un journal interiore dove riflessioni, ricordi, sogni, invenzioni, appaiono i mattoni comuni della stessa casa, frammenti portanti di un edificio sghembo e minaccioso, complesso e felice. L' io, volatile e trasversale, si trasfonde da una prosa all' altra, intonando i suoi temi ossessivi. Non si può che citare le parole di Bohumil Hrabàl: «Qualsiasi cosa abbia scritto è come se l' avesse scritta qualcun altro».