Per Freud ogni analisi è destinata a inciampare su un'impasse, l'incontro cioè con l'esistenza (ipotetica) di un reale immutabile. Secondo Lacan, invece, una passe è possibile: una cura può incontrare una fine che non sia un semplice satisfecit scambiato mutualmente tra analista e analizzante, e nemmeno un abbandono, il frutto di una stanchezza o il prodotto di un'insurrezione, ma una conclusione di ordine logico. Lacan si è speso perché i suoi allievi adottassero questa procedura, ma dopo la sua morte in molti hanno cercato di sbarazzarsene. Fu salvata dall'École de la Cause freudienne, e attraverso l'Association mondiale de psychanalyse si è diffusa in Europa e in America Latina. Qual era, e qual è, l'originalità di tale procedura? Fino a prima della sua elaborazione, nelle società psicoanalitiche l'accesso a un titolo passava tramite la cooptazione del candidato da parte dei didatti. Lacan ha mandato all'aria tale modalità: sarebbe spettato a due analizzanti, ciascuno scelto dal proprio analista per il fatto di essere ancora al di qua del momento conclusivo ma in procinto di finire l'analisi, l'incarico di ascoltare il candidato, chiamato passant, e di riferire la testimonianza ricevuta al cartello della passe, al quale sarebbe spettato il compito di stabilire se il passant potesse essere insignito oppure no del titolo di AE (Analyste de l'École). La passe è andata incontro a molteplici vicissitudini, e attraverso i testi qui raccolti Jacques-Alain Miller si propone di tracciare una mappa del labirinto, portandone allo scoperto i paradossi e spronando il lettore, con Lacan, a non riposare sul sapere acquisito, a liberarsi da ogni dogmatismo, a ripensare di nuovo la Cosa freudiana, fino a reinventare la psicoanalisi, ciascuno secondo i propri mezzi.