Con "Cieli celesti" Claudio Damiani ha scritto un libro in cui il suo pensiero filosofico si apre all'orizzonte della scienza. La chiarezza espressiva e la forma contemplativa dei versi, però, sono le stesse dei libri precedenti, quelle apprese dalla lezione dei latini e di Petrarca. Così come il ritmo continua a essere dialogante: il suo rivolgersi agli uomini, agli animali, alla natura, all'intera creazione come fossero tutti parte di una "comunità" che poi significa capire quanto ogni cosa è indispensabile all'altra e che proprio questo è il "miracolo" di cui facciamo quotidianamente esperienza. Nel tempo della nostra vita, all'interno di un universo tanto vasto e tanto misterioso da sovrastarci e spesso spaventarci, Damiani percepisce un disegno - la rivelazione di un'intelligenza universale che illumina la mente - come una linea che scorre inesorabile lungo i secoli e i millenni. Di quella linea, l'essere umano, l'individuo, non è solamente un punto tra gli infiniti altri, ma è un nucleo di energia, un "quanto di tempo", scrive il poeta servendosi dei termini della fisica: è la possibilità che il disegno - un disegno che Dio, o qualcuno a cui abbiamo attribuito questo nome, ha pensato - si compia. Come l'anello infinitamente piccolo di una catena infinitamente grande, la sua stessa esistenza determina il passato, il presente e il futuro dell'universo. Allora, il tempo dell'uomo non è mai veramente finito, e pure la morte è parte del disegno.