"L'Italia non è mai stata una nazione, e non lo sarà mai ... L'unità d'Italia che pomposamente si festeggia o si dileggia, a seconda delle opportunità politiche, è la più grande catastrofe abbattutasi sulla nostra penisola ... I soli ad avvantaggiarsene veramente sono stati i preti, che hanno esteso i confini dello Stato della Chiesa fino a farli coincidere con quelli della penisola. L'Italia unita è un ipertrofico Stato pontificio, dal quale ha ereditato le sue due caratteristiche principali: la corruzione e l'ipocrisia." Con queste considerazioni Fabrizio Rondolino inizia un'amara e pungente rilettura della storia italiana, nel centocinquantesimo anniversario dell'unificazione. Alla vigilia di quel processo, la penisola offriva esempi di ottima amministrazione. Oggi, invece, l'Italia arranca nelle retrovie di tutte le graduatorie; penultimi al mondo per tasso di crescita nei primi dieci anni del millennio. Questo inesorabile declino è il punto di arrivo di un'unificazione forzata e innaturale, di centocinquant'anni di politica corrotta, viziata dal trasformismo, chiusa a ogni innovazione. Attraverso una riflessione che passa per Dante e Machiavelli, Leopardi, Manzoni, Prezzo-lini e molti altri scrittori, l'autore ricostruisce con vivacità la nostra parabola storica. La conclusione è impietosa: l'Italia di oggi, incattivita e piena di rancori, non ha niente da lasciare in eredità ai propri figli, neanche l'allegria e la spensieratezza che un tempo gli stranieri ci invidiavano.