"Qui c'è molto di quanto ha costituito la mia vita e la mia salvezza": così Giuseppe Sissa annota a proposito della progettata silloge che ora vede la luce. Sono quindici "piccole storie", come già le definiva l'autore, ma l'understatement dell'aggettivo non smentisce la pregnanza del sostantivo, che non è mero sinonimo di "racconti". Esso coglie con esattezza l'effettiva natura della narrazione, sia dal punto di vista della forma, sempre stilisticamente elevata, sia, soprattutto, perché le vicende narrate, tra ricordo nostalgico e surreale invenzione, si traducono in evocazioni d'una realtà personalmente vissuta oppure in visionari reportages da una realtà possibile o da un mondo a venire. Presentimenti, questi ultimi, all'insegna d'un profondo pessimismo: la salda preparazione scientifica e la constatazione che proprio le conquiste della scienza non fanno che incrementare i pericoli per l'umanità, lo inducono a ritenere il progresso un fattore di irredimibile infelicità. Di contro, spiccano i tratti intimistici e perfino elegiaci di alcune storie, le oasi di serenità legate agli affetti domestici, delle persone e dei luoghi: un senso pascoliano della famiglia, la casa come rifugio vitale, la campagna, il fiume e la sua gente... Un'arte narrativa pervasa da un periodare ampio, di stampo classico, manzoniano; da un aristocratico timbro linguistico, erede di una civiltà dello scrivere oggi in via di consunzione.