Tra il 1920 e il 1926 Husserl dedicò tre corsi universitari all'analisi dello strutturarsi passivo dell'esperienza, dunque a quelle sintesi che si costituiscono prima del volgersi attivo dell'io e prima della spontaneità. Le forme che ritroviamo nel pensiero e nel giudizio possono infatti essere rinvenute già sul terreno dell'esperienza antepredicativa. Pertanto, le categorie non vanno dedotte, ma legittimate mostrando i processi che, dal terreno dell'esperienza, conducono agli enunciati logico-predicativi. Su questa base può svilupparsi il tema della giustificazione della realtà del mondo esterno, che risulta credibile sin quanto la credenza è sostenuta da determinati decorsi di esperienza. Husserl ridefinisce qui anche il senso complessivo della sua impostazione filosofica. A partire dalla nozione di passività, di associazione e di affezione egli riformula il senso trascendentale della fenomenologia. Gli atti del soggetto non sono più atti che conferiscono un senso, ma una risposta al darsi dell'essere. Su questa base Husserl può sviluppare una complessiva teoria della coscienza, sviluppando prima una teoria della percezione e successivamente una teoria del ricordo e dell'inconscio, e dare così ragione dell'autocostituzione del soggetto, della sua vita stratificata e complessa ma non caotica, poiché governata da regole mancando le quali la vita soggettiva si dissolverebbe e niente più apparirebbe.