"Seguo sempre il racconto dei pazienti come se fosse un film. Per dirla con Nino Ferro, mi accorgo di portare sempre al livello dell'iconico tutti gli accadimenti della seduta. Credo che sia il funzionamento di base della nostra mente, che deve continuamente sceneggiare e portare in immagini quello che ci accade, quello che pensiamo, sentiamo e ascoltiamo. Forse io, per mestiere, vi presto più attenzione. Così scopro che nell'iconico il racconto si trasforma, e le immagini sono sempre la prima intersezione fra ciò che il paziente racconta e la mia capacità di accogliere il suo racconto, necessariamente attraverso immagini che sono mie. "Il film non è 'un film', ma il prodotto di libere associazioni che ci porteranno da qualche parte che non conosciamo, e parlare di un film è lo stesso che parlare di una città, di un monumento, una poesia, un viaggio. Quando un film entra nella stanza di analisi, è solo una 'cosa' che introduce altro. Al tempo stesso, tutto ciò che incontriamo nella stanza di analisi si dispone come un film. "In continuazione, mi incuriosisco del film che il paziente mi racconta, perché quel film viene a contribuire al film della seduta. Il setting è un potente filtro di interpretazione dei fatti, e la stanza di analisi, giustamente, non rispetta il film del regista, ma da quel film ne coglie uno proprio, costruito da paziente e analista. "È importante che la stanza di analisi sia continuamente una sala cinematografica..."