La letteratura, nelle mani degli sciocchi, è intollerabile. La letteratura, tuttavia, ha sempre contato tra le sue fila una parte di miserabili, che prendono in mano la penna solo perché si trovano interessanti. Del resto, come diceva Goethe, «ci sono libri che sembrano scritti non per l'istruzione del lettore, ma per fargli vedere che l'autore sapeva qualcosa». Ed è così che, anno dopo anno, le librerie vengono invase di opere inconsistenti quanto un refolo d'aria. Esiste, tuttavia, un esiguo numero di scrittori che si chiedono cosa voglia dire scrivere, a cosa serva e, soprattutto, a chi. Scrittori che non si sentono, a differenza di altri, autorizzati a scrivere. O per cui la scrittura rimane, al di là di tutto, un'attività poetica, un'opera di invenzione e di ricerca con successo irregolare. Attraverso una serie di illuminanti digressioni sulla scrittura e sulla lettura, Tanguy Viel passeggia tra gli scaffali delle biblioteche, si interroga sulla vita degli scrittori e scorge, in ogni pagina letta, la promessa di una risposta alla ricerca che sta svolgendo. Ad accompagnarlo in questo viaggio subacqueo - poiché nei libri veri c'è sempre qualcosa di marino - alcune tra le più autorevoli figure letterarie di sempre: Cicerone, Freud, Julien Gracq, Robert Burton, Christine de Pisan, Hermann Hesse, Montaigne, Valéry, Aby Warburg e Ludwig Binswanger, Maurice de Guérin e Amiel, Virginia Woolf e Dante. «Nei libri veri c'è qualcosa di marino, sono concepiti per affrontare il mare, addirittura, fino a un certo punto, per contrastarlo, a forza di fendere i flutti, attraversare l'onda e poi, ancora, ricadere con agilità nel suo incavo, muniti come sono di madieri invisibili che sostengono lo scafo e gli impediscono di piegarsi. I veri libri conservano lungo il loro percorso quella resistenza alla deformazione che consente a ognuno di essere portato di là, dall'altra parte della vicenda, spostando sulla superficie dell'acqua la massa calcolata del suo volume».