Con "L'Entrée d'Espagne", poema epico della prima metà del Trecento sulle imprese di Rolando negli anni precedenti la rotta di Roncisvalle, l'autore, un padovano che sceglie di tacere il proprio nome, rinnova felicemente il genere della chanson de geste. L'ampiezza della cultura e dell'esperienza umana, il senso della realtà, l'ironia, il talento stilistico gli permettono di rappresentare il famoso eroe in una veste inedita. Il suo Rolando si muove come un cavaliere errante in un Oriente già ricco delle suggestioni del Milione di Marco Polo e costellato dai ricordi delle gesta del Macedone. Egli associa alla prodezza e alla superbia tradizionali la sapienza, l'inclinazione spirituale - memorabile l'episodio "graaliano" dell'incontro con il vecchio eremita penitente -, la generosità, il brio, divenendo modello esemplare di cortesia, incarnazione di quell'ideale aristocratico cavalleresco che, nel sogno di una vita più bella, il Padovano immagina condiviso da cristiani e pagani e per il quale esclamerà poi l'Ariosto: "Oh gran bontà de' cavalieri antiqui!".