Nato col cinema e la psicoanalisi, il consumismo di massa e le prime ondate migratorie verso l'Europa colonialista, il "Dracula" (1897) di Bram Stoker è un romanzo stranamente sospeso fra l'arcaico e il moderno: la storia di un mostro antico su cui si condensano ansie e timori già tutti contemporanei. Il vampiro si trasforma qui per la prima volta in icona del nostro tempo, abbandona i castelli in rovina per insinuarsi negli spazi metropolitani della Londra globalizzata e infiltrarsi nel cuore delle sue istituzioni: la famiglia borghese, il mondo delle professioni, le cittadelle del potere medico, politico e finanziario. Mutando pelle, il non-morto diventa l'alieno, il virus che infetta il corpo dell'occidente moderno. Le sopravvivenze arcaiche che riaffiorano nel romanzo raccontano allora il volto gotico della stessa modernità, gli spettri di un presente che ha i tratti mostruosi, e sempre in metamorfosi, delle sessualità eterodosse o della follia, dei flussi immateriali delle nuove tecnologie o del capitale, del contagio fra razze e culture, della barbarie terroristica. Di tutto ciò che, come il vampiro, è un ibrido fra le categorie. Il volume rivisita questo straordinario canovaccio del terrore contemporaneo, oggetto d'incessanti interpretazioni, riscritture e rimediazioni, ed esplora i fantasmi della storia culturale che da allora accompagnano ogni risorgenza del vampiro, metafora potente e versatile delle paure insepolte che consumano il corpo della modernità.